Sandra Vincenzi
aprile 2013
Non è mai troppo tardi
A volte bisogna entrare in punta di piedi dalla porta della disabilità, perché quello che si trova dentro, è fragile, e si corre il rischio di fare disastri, anche con le migliori intenzioni. Perché un conto è la disabilità oggettiva, ed un conto è come uno la vive e quindi come la racconta.
I genitori dei bambini disabili non sono ne santi, ne superman, neppure è d'obbligo che siano straordinari: eppure è così difficile parlare di certi sentimenti che vivono queste famiglie, come la rabbia, l'amarezza, la delusione, la frustrazione, la fatica e la difficoltà a trovare serenità.
Nella nostra società, molto spesso la difficoltà ad avvicinare emozioni di questo tipo, il disagio e l'imbarazzo che si prova a star vicino a chi attraversa momenti difficili, vengono mascherati da un certo perbenismo: ne deriva, come direbbe Massimiliano Verga (Zigulì, Mondadori 2012) che “...quando hai un figlio handicappato ti viene quasi sempre concesso di non ricordare le cose, ma quasi nessuno accetta che tu possa essere anche pigro”... - aggiungo io - ...e triste, amareggiato o in uno stato di sconforto. Perché ci si aspetta che questi genitori si comportino da genitori speciali; ci si aspetta che siano ancora loro a togliere il disagio “dei normali”. Infatti quando un genitore di un bambino speciale vive la sua vita senza far pesare la sua fatica sugli altri, col sorriso sulle labbra, tutti quelli che gli stanno intorno per forza, o per incontri casuali, si tolgono un peso e dei pensieri.
Non conoscevo il libro di M. Verga, me l'ha prestato Luciano quando sono andata ad intervistarlo: Luciano è papà di Benedetta, e insieme alla moglie Rosanna hanno condiviso con me una lunga chiacchierata sul tema della disabilità.
Certe volte abbiamo bisogno che altri ci insegnino le parole per dire le cose che sentiamo, e quella sera, a casa loro, Luciano mi ha portato ad esempio più volte le parole di M. Verga. Ne è venuta fuori un'intervista diversa dalle altre, quasi un racconto a più voci intorno al tema della disabilità: la voce di Luciano, di Rosanna e Benedetta, la mia che da anni li conosco, e quella di alcune frasi tratte dal libro Zigulì.
Chiedo a Luciano di raccontarmi della loro vita con Benedetta, che ha 11 anni ed in questo momento, mentre noi parliamo, è in sala che si guarda un cartone animato alla televisione. Luciano mi racconta di come più volte nella loro vita come genitori abbiano vissuto momenti di illusione seguiti poi da puntuali disillusioni, che avevano l'effetto di uno sbattere contro ad un muro.
A papà Luciano si allarga il cuore quando ripensa a Benedetta piccola, a tutti gli esercizi che hanno fatto insieme per insegnarle a strisciare prima, a gattonare poi: ha ancora in mente quella domenica mattina quando Benedetta non gattonava ancora, nonostante tutti gli esercizi... invece quella domenica è partita, dietro al suo papà, sotto lo sguardo sorpreso della mamma, a carponi per tutta casa.
Benedetta è molto migliorata, prima col metodo Vojta e poi col Doman, ma Luciano mi dice che è proprio come si dice su Zigulì: “... Non puoi capire fino in fondo che cosa significhi vivere con un figlio disabile se non sei suo padre o sua madre!”.... perché te ne succedono di tutti i colori: dagli sguardi degli altri che ti comunicano il loro disagio, alla fatica di lottare per avere riconosciuti i diritti minimi, al non sapere cosa fare con tua figlia. Luciano ricorda che: “... quando siamo usciti dall'Ospedale con Benedetta non sapevamo cosa fare... abbiamo girovagato in macchina per un po' senza meta...”.
Penso ad un'altra frase del libro: “...Non è vero che i figli sono tutti uguali e che l'importante è che arrivino. Chi lo pensa mangia tutti i giorni i biscotti del Mulino Bianco e crede anche di viverci, nel Mulino Bianco. Io ti volevo diverso. E quei biscotti non mi sono mai piaciuti”.
Quanto è difficile per un genitore riconoscere questa verità: desiderare di avere, non un figlio handicappato, ma un figlio normale, lasciando perdere tutti i ba-bla-bla su cos'è normale, cos'è diverso, e del privilegio di seguire una strada insolita. A volte i non-detto fanno più rumore di quello che si dice!
Mettiamo comunque in parte queste emozioni e chiedo a loro dello sci. Benedetta scia da almeno 7 anni e:...”Il secondo anno, quando Benedetta era in prima, anche la maestra si è accorta di un grande cambiamento: Benedetta è tornata dalla settimana bianca più attenta, attiva, concentrata. Dopo non è stato più così eclatante, tuttavia c'è sempre un miglioramento ogni volta che si ritorna.”
Penso a Benedetta che scia sicura, e che dice al maestro di sci dove andare, in quale pista... e qualche volta le va bene, fintantoché il maestro non capisce come deve prenderla! Perché Benedetta è un tipetto tosto, e soprattutto un atleta. Ha un corpo muscoloso con una buona tonicità, a dispetto della Sindrome di Down. Anche in questo caso Benedetta ha deciso lei, al posto della Sindrome, imponendo la sua fisicità, la sua coordinazione, la sua elasticità e potenza muscolare, che utilizza non solo nello sci ma anche in ginnastica artistica. Perché in queste cose Benedetta sa di valere, e le mostra volentieri, così come non fa fatica a destreggiarsi tra spalliere, altalene, funi, anelli... quelli in giardino che suo papà ha assemblato e costruito per lei.
E in futuro? Papà Luciano si lascia scappare una confessione:” Ho appena comperato tutta l'attrezzatura da sci... in futuro spero di sciare con Benedetta, anche se lei adesso è già più brava di me!”. E il volto gli si illumina mentre sorride al proposito! Non è mai troppo tardi per i buoni propositi!
E allora ricordo perché sono lì con loro e trascrivo questa intervista: per raccontare a chi non se n'è ancora accorto, che guardarsi intorno non è poi così difficile; che essere vicini, fare un po' di strada insieme prendendosi come si è, e cercando di svagarsi a vicenda si può, e questo vale più di tante belle parole!